lunedì 24 maggio 2010

Diario della pioggia - 31, 32, 33




Tavole: 31, 32, 33

6 commenti:

  1. Abbiate fede. Non ho abbandonato. Ho avuto molto da fare. Stanotte recupero

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  2. Tav 31-33

    Chissà dov’era Anibal il vagabondo. Anibal che non riusciva ad avere un tetto sulla testa. Gli sembrava di vederlo. Anima che tornava a casa , Anibal che non sopportava di essere chiuso, Anibal che riprendeva la via , con il suo bianco cane.

    Jean era confuso. Troppe storie , troppe vite e… troppa pioggia. Troppa acqua. Avrebbe lavato via tutto? O avrebbe portato tutto a valle e riunito?

    Era questo che voleva? Si. Era questo. Era vivere "le vite" e non "la vita".

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  3. La notizia della scomparsa del prof. Wu Franco l’ebbe l’indomani da Platania, L’albergo era stato pagato da un americano e il prof. Era scomparso, nessuno in albergo lo aveva visto uscire, i bagagli erano stati ritirati dallo stesso personaggio che aveva pagato e che si era qualificato come il segretario del professore.
    L’ipotesi rapimento era la più consistente, si stava indagando in tal senso, l’intrigo internazionale era sempre più indecifrabile. Franco cominciò a convincersi che il professore era il barbone col cane che aveva incontrato, non pensava che l’incontro fosse stato casuale, era un indizio seminato per sicurezza, né parlò con Platania e alla fine concordarono che avrebbero seguito anche quella pista.
    Intanto, la sera prima, il dott. Wu, nella versione vagabondo, camminava sotto la pioggia, il cane che aveva trovato qualche ora prima e che si era messo a seguirlo era scomparso. Via dei sarti, ecco la porta del basso che gli avevano indicato, la finestra era aperta, guardò dentro, l’interno non poteva essere più squallido, entrò spingendo la porta che cedette senza problemi, nella credenzina a muro c’era mezza bottiglia di vino e qualcosa da mangiare fra due piatti di plastica, non c’erano né sedie né tavoli, solo un materasso per terra. Il professore mangiò qualcosa, bevve un sorso e poi si addormentò.
    Quando si svegliò era ancora notte - è meglio avviarsi – pensò, e uscì nella notte, si inoltrò nel parco, piovigginava ancora, ma meno di prima; mentre tagliava per il parco per raggiungere la statale, tirò fuori di tasca il flauto e ricominciò a suonare la strana musica che aveva colpito Franco, nessuno avrebbe mai potuto intuire che si trattava della trasposizione musicale di una sequenza genomica, ad ognuno dei 64 codoni possibili aveva collegato una nota e un tempo e l’insieme risultava stranamente coerente.
    Sulla strada cercare un passaggio non era semplice, i fari delle macchine lo illuminavano e passavano oltre, provò a fermare un comion, ma questo passò oltre costringendolo a saltare verso la banchina, incespicò e cadde nel fosso pieno d’acqua fangosa, si alzò a sedere e davanti a lui ricomparve il cagnetto, si ripulì alla meglio e si riavviò a piedi, lungo la strada. Il cane lo seguì.

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  4. Ed eccola, la storia, le parole intrecciate da Luca. È fatta di attimi agganciati uno all’altro. Uno come Luca non mette insieme anni su anni: la sua ricerca è quella che per noi è un dato scontato. Un tetto per non bagnarsi, una brandina dove rimettere in sesto le ossa. È la ricerca di una casa disabitata, di una musica capace di smuovere quel che rimane degli uomini e guadagnarsi un pasto. La ricerca di un passaggio verso un posto qualsiasi. Una notte ci stava quasi rimanendo, in una strada di campagna. Un camion era arrivato sparato da dietro la curva, e per aggiungere qualche giorno alla sua vita Luca era dovuto saltare verso il fosso che costeggiava la strada. Lì aveva trovato il suo compagno di viaggio, però. Il cane bianco gli si era avvicinato per aiutarlo dopo la caduta e gli aveva fatto le feste quando aveva visto che non si era fatto troppo male. Bianco. Luca l’aveva chiamato così, per buon augurio, perché era bianco come la luce alla fine della strada.

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  5. (Scusate l'intromissione: trovo i vostri racconti davvero belli, notevoli).

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