lunedì 10 maggio 2010

Diario della pioggia - 4 e 5



Tavola Quattro
Tavola Cinque


Con queste due tavole termina il primo capitolo del Diario della pioggia: con il prossimo, vedrete l'ingresso di alcuni pesonaggi che poi si dilegueranno sotto la pioggia. Ma siate certi che riappariranno. Forse...

5 commenti:

  1. Prima di postare il secondo capitolo, fai passare qualche giorno??? Così recupero... :-)

    RispondiElimina
  2. Franco si alza, dalla finestra la città sembra fradicia, la pioggia non smette, gli sembra di essere a mollo in una distesa d’acqua, ora la città non c’è più. Torna al tavolo, riprende a leggere, ecco i memi, la noia e il cattivo umore dopo un giorno di pioggia sono un memo di successo o del tutto inutile? Un problema da approfondire; sente lo stillicidio del tetto che si riversa goccia a goccia nei secchi, cerca una sigaretta, il pacchetto è vuoto, adesso sa di non averne più. Deve comprarle, il tabaccaio è ancora aperto, scende per la seconda volta in strada. “ MS” dice Franco; Amilcare, il tabaccaio, imperturbabile, gli allunga il pacchetto, ritira i soldi, è come se non lo avesse visto, gli ha allungato il pacchetto come se fosse una dose di coca, “ sono anni che ci compro le sigarette, non l’ho mai sentito parlare, è sempre lì, giacca cravatta, pancetta, la pelata e poi, quasi per dispetto, per scompaginare tutto, il codino” .
    Mentre torna a casa sotto l’ombrello ricomincia a pensare ai memi, sono l’equivalente culturale dei geni biologici, lo scalino dei primati e poi dell’uomo si fonda su di essi, sostengono alcuni, ma a Franco sembrano legati al bisogno dell’uomo di sentirsi speciali, insomma gli animali sono animali, ma l’uomo o ha Dio o in mancanza almeno i memi.

    RispondiElimina
  3. Ok, Simona. Ma non scade nulla, resta "a vita"...

    RispondiElimina
  4. Quella pioggioa portava cattivi pensieri.

    Quella pioggia era strana. Jean si sentiva soffocare . Cercò di leggere, di scrivere. Niente. Decise di uscire.
    Aveva bisogno di sigarette

    Arrivò alla tabaccheria di Messier Merlot. Un ometto grasso e timoroso, gentile per vigliaccheria più che per indole.

    Prese la sua solita stecca. Chiese se c’erano novità e dopo un breve scambio di battute si avventurò sotto la pioggia battente.

    Non aveva un bel suono quella pioggia. Aveva un che di sinistro. Non era una pioggia primaverile.
    Jean fece spallucce, tra se e se.
    Strano, quella pioggia lo turbava ma gli dava il tempo di pensare alle parole di Merlot. Aveva la sensazione di muoversi al rallentatore

    RispondiElimina
  5. Giorgio aveva la sensazione che la pioggia non fosse soltanto fuori dalle finestre, ma dappertutto. Che l’acqua si insinuasse dal tetto per travolgerlo e macerarlo, indebolirlo con la sua umidità velenosa. Solo una sensazione, però forte. Poi, mentre stava andando in cucina per un caffè, il piede inciampò su una macchia di bagnato. Qualche infiltrazione dal tetto c’era davvero, porca miseria. Due. Giorgio dovette piazzare due secchi sul pavimento, in attesa che smettesse di piovere per sistemare il tetto. Concentrarsi diventò impossibile e Giorgio uscì con la vecchia scusa delle sigarette.

    Almeno vedeva il mondo; o meglio, quella parte di mondo che non era ancora affogata. Gli fece bene scambiare due chiacchiere con il tabaccaio, ma non riuscì ad cavare da lui i soliti racconti, i pettegolezzi del quartiere. "Mii, non viene più nessuno, sono diventati salutisti tutti in un colpo", si lamentava il signor Matranga, ex chitarrista rock, fine poeta che non poteva essere scapigliato per colpa della calvizie me che aveva scelto di lasciarsi crescere il codino come un barone del Settecento.
    "Prima tutti si sono divertiti come volevano e ora fanno penitenza. Lo spavento ci vuole, lo spavento è la sola igiene del mondo. Se ci fai caso - concluse abbassando la voce - piove a lavare". Giorgio decise che era il caso di rituffarsi in mezzo al nuovo diluvio per capire cosa era rimasto del mondo che conosceva.

    RispondiElimina