domenica 7 ottobre 2012

E' stato il reality

"E' stato il figlio" e "Reality" due film originali, anche belli. Accomunati dal tema antropologico della dissociazione psichica di fronte al desiderio pseudo-esaudito o da esaudire con urgenza, con impellenza non più procrastinabile. Il primo, quello di Ciprì, soffre nella prima parte nell'entrare a pieno regime: l'ingranaggio è lento, forse più di quanto richieda la narrazione. Indugia eccessivamente in una serie di quadretti lirico-prosaici. Poi, sciolte le briglie nella seconda parte, il film si dispiega con grande potenza e con una drammaturgia piena e vigorosa, per giungere ad un finale shakespeariano di grande visionarietà. Il film è penalizzato, a mio avviso, dalla mancanza di equilibrio tra la star, Toni Servillo, e gli altri attori. Servillo è un campione di recitazione naturalistica (nella fattispecie, sposata ad un aplomb grottesco e ironico di portata eccezionale). Ma il grande attore, forse il più grande in attività in Italia, parla un palermitano surreale, mal masticato, e cozza con la naturalezza dello slang di attori come Raneli, Civiletti, Quattrocchi: in questo film, tutti di rara bravura. Il film di Garrone, invece, ha una compattezza mirabile, una continuità narrativa eccezionale, che patisce solo un paio di volte l'inserimento di spunti poetici troppo elaborati che rallentano eccessivamente il ritmo narrativo espressionista. Mi riferisco alla carrellata languida e sospesa all'interno del condominio: donne sovrappeso che si spogliano per andare a dormire, panzoni che consumano un'ultima fetta di anguria. E il finale psichedelico, troppo studiato, eccessivamente lirico. In compenso, il protagonista, Aniello Arena, è di bravura eccezionale. E il napoletano parlato da tutti gli altri non stenta mai a decollare: è napoletano stretto.

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