martedì 4 giugno 2013

La grande bellezza del cinema

Chi pensa di andare a vedere "La grande bellezza" per assistere alla vivisezione di Roma e dei suoi intellettuali di sinistra in putrescenza, va incontro ad una sicura delusione. L'ultimo film di Sorrentino è un film d'arte che usa la capitale come macro-set per raccontare per visioni e suggestioni il viaggio al termine della notte (una notte lunga circa quarant'anni) di un vivace e pigro polemista, ex scrittore, che vive di drink e di incontri facili. E' il brogliaccio splendidamente (non) raccontato di un Sorrentino sempre più visionario che cita Fellini, Kubrick, Scola, e che da "This must be the place" ha intrapreso un percorso artistico-narrativo originale e poco popolare. L'attore-feticcio di Paolo Sorrentino, Toni Servillo, di cui si è detto tutto il bene possibile si supera ancora, se possibile (ma è solo un altro step, perché nei prossimi film sarà ancora più bravo e non sarà più possibile, presto, paragonarlo ad altri attori italiani: è lui il più bravo in assoluto). Sabrina Ferilli finalmente recita e bene: occorreva un ruolo alla Giovanna Ralli (quella di C'eravamo tanto amati di Scola) per rivalutarla degnamente. Il tempo perduto da recuperare con un nuovo romanzo, l'amore della gioventù vero o sognato e la vecchiaia, portatrice di magica e mistica saggezza. Non è un Sorrentino alla portata di tutti i palati. Ma La grande bellezza è certamente un film sontuoso e visionario che lo consacra come miglior regista italiano.

2 commenti:

  1. Giorni fa ho visto quel nuovo racconto formidabile dell’Italia di oggi che è “Il capitale umano” di Virzì e oggi apprendo che un altro racconto, anch’esso formidabile, come “la grande bellezza” di Paolo Sorrentino ha vinto i Golden Globe. Sono due film diversi che guardano il nostro Paese con occhi diversi ma giungono alla stessa conclusione: un’Italia malata terminale a cui nessuna cura può fare effetto. Certo che le differenze ci sono e sono palpabili. Il film di Virzì ha una visione più proletaria e parte dal basso per raccontare la ricerca di un relativo benessere sociale mentre quello di Sorrentino già gli è sopra, già lo scruta e lo etichetta come malessere. Due film destinati a rimanere opere importanti nella cinematografia italiana anche se l’approccio “sentimentale” risulta diametralmente opposto. Quello di Virzì ti piace fin da subito, ti entra dentro , ti emoziona e ti da quella giusta rabbia sociale che tenevi in serbo e che ti viene magistralmente rivelata e condivisa, mentre il film di Sorrentino si rivela come un tarlo: ci vuole tempo perché morda la tua coscienza ma quando lo fa è devastante. Non pensi più alla patina argentata con cui il regista l’aveva avvolto, a quella quasi mancanza di trama che sembrava non portasse a nulla e invece, quasi inconsapevolmente, il film ti entra dentro, ti penetra e smuove la tua coscienza. Non è successo apparentemente nulla, se non dentro di te, un qualcosa che va oltre alla rassegnazione e che ti rende ancora rabbioso e desideroso che le cose cambino o che almeno diventino meno distorte. Insomma, due grandi film, due grandi registi, grandi personaggi recitati da grandi attori, che si vuole di più dallo squassato cinema italiano?

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  2. Bellissima riflessione, Francesco. Grazie, un abbraccio.

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